EPICURO E LA FORMA NUOVA

"Quand'ero giovane e libero e la mia fantasia non aveva limiti, sognavo di cambiare il mondo.
Diventato più vecchio e più saggio, scoprii che il mondo non sarebbe cambiato, per cui limitai un po' lo sguardo e decisi di cambiare soltanto il mio Paese.
Ma anche questo sembrava immutabile.
Arrivando al crepuscolo della mia vita, in un ultimo tentativo disperato, mi proposi di cambiare soltanto la mia famiglia, le persone più vicine a me, ma ahimé non vollero saperne.
E ora mentre giaccio sul letto di morte, all'improvviso ho capito: se solo avessi cambiato prima me stesso, con l'esempio avrei poi cambiato la mia famiglia.
Con la loro ispirazione e il loro incoraggiamento, sarei stato in grado di migliorare il mio Paese e, chissà, avrei anche potuto cambiare il mondo. "

(Anonimo)

martedì 23 ottobre 2012

Nicola De Maria - Festa nella camera della testa

Come tutte le favole anche questa comincerà con un...

C'era una volta...

Ma è strano pronunciare queste parole perché la nostra storia è invece ambientata in questi giorni.

"Il cuore le batteva forte, cercava di stare sdraiata sulla sabbia ancora calda e teneva stretto al petto il suo bambino. L'appuntamento era ad una certa ora della notte, ma non aveva orologio e nessuno era con lei. Doveva nascondersi: se l'avessero scoperta.... era morte sicura.
Negli ultimi mesi era vissuta fuggendo. Fuggiva da tante cose, tante persone, ma soprattutto fuggiva da una vita che l'aveva ferita fin nel profondo.
Era scappata di casa, da un marito che la picchiava in continuazione, da una famiglia quella del marito che la considerava una schiava e la sottoponeva ad ogni serie di maltrattamenti continui. Le botte e gli insulti erano all'ordine del giorno. Era ancora una bambina quando l'avevano costretta a sposarsi.
Non c'era mai stato amore fra loro. Lui molto più grande di lei. Secondo le loro tradizioni doveva subito avere un figlio e doveva essere maschio.
Non importava che ora fosse, lui la prendeva ovunque la trovasse e la faceva sottostare ai suoi abusi. Le prime volte aveva pianto aveva cercato di divincolarsi da una stretta che le faceva male. Il sangue le scendeva lungo le gambe dopo ogni volta, e doveva lavarsi. L'acqua era poca: dovevano andare a prenderla in un pozzo lontano alcuni km da dove abitavano. La usava di nascosto. Guai a farsi vedere. Le donne anziane della famiglia la bastonavano se faceva quello che secondo loro non andava bene. Anche loro avevano avuto lo stesso trattamento da giovani. Fossero state le regole della tribù o la loro vendetta dopo anni, lei comunque sembrava che non facesse mai niente che a loro piacesse.
Rimase incinta.
Nonostante la nausea, il dolore alla schiena e la pancia che piano piano aumentava non le venivano risparmiati i lavori più faticosi.
Anche il suo bambino nacque nella polvere nella sporcizia nella miseria. Dopo il parto cominciò a stare male aveva la febbre e i brividi. Fu chiamato un uomo dal villaggio vicino. Quando arrivò lei ebbe paura: vestito di stracci di cui non si conoscevano più i colori, con scarpe grandi, troppo grandi per i suoi piedi ossuti e una lunga barba che quando le si avvicinò puzzava terribilmente di qualche strana erba che aveva fumato.
Le fece bere un intruglio che a lei non piaceva: era amaro nauseante ed ebbe subito l'impressione che l'avrebbe fatta vomitare.
Ma non accadde, anzi si addormentò poco dopo. I suoi sogni furono agitati: le sembrava di essere in riva ad un fiume a prendere l'acqua, era stanca non riusciva a muoversi. Il suo bambino era lì vicino che giocava con dei sassi. Quando...

sabato 20 ottobre 2012

Gitanjali di Tagore

"- Il giorno che la Morte picchierà alla tua porta, cosa le offrirai?/ - Presenterò alla mia ospite la coppa piena della mia vita, non lascerò che se ne vada a mani vuote./ Giunto al termine dei miei giorni, quando la Morte picchierà alla mia porta, presenterò a lei tutta la soave vendemmia dei miei giorni di autunno e delle mie notti estive, e tutto ciò che ho guadagnato o raccolto durante l'operosa mia vita." ------------ (Dalla mia biblioteca privata// Edizione settembre 1914)

lunedì 15 ottobre 2012

Alberto Pancorbo (pittore)

"Scusa, non posso parlare più forte. Non so quanto riuscirai a sentirmi, me che ti parlo. Ma riuscirai mai a sentirmi? Il mio nome è... Ti prego, accosta l'orecchio alla mia bocca, per quanto tu possa essere lontano, ancora adesso o sempre. Altrimenti non posso farmi capire da te. E, anche se ti degnerai di esaudire la mia preghiera, resteranno tanti silenzi che dovrai riempire da solo. Ho bisogno della tua voce, quando la mia viene meno. ...." - LO SPECCHIO NELLO SPECCHIO di Michael Ende

mercoledì 10 ottobre 2012